sabato 12 luglio 2008

Il G8 di Genova

In questo post voglio parlare del G8 di Genova e di cosa sia successo realmente in quei giorni. Badate bene il mio non sarà un racconto dettagliato sui fatti accaduti, in quanto non sono ne storico ne un giornalista ma un semplice studente, comunque cercherò di essere il più preciso possibile.
Il G8 è un forum costituito dai paesi più influenti del Mondo ovvero le maggiori democrazie industriali emerse dal 1973 con in più la Russia a causa della sua influenza politica e militare. I paesi che attualmente partecipano al G8 sono: Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Canada e Russia. Il G8 del 2001 fu organizzato a Genova, il forum fu diviso in 4 giorni, da giovedì 19 a domenica 22 luglio; insieme alla riunione dei capi di stato erano state organizzate delle manifestazioni pacifiche da parte di associazioni no-global. Le proteste erano finalizzate a contrastare il potere di un gruppo ristretto di capi di Stato e di governo che, forti della loro potenza economica, politica e militare, erano, a detta dei manifestanti, in grado di decidere le sorti di vaste porzioni dell'umanità. Inoltre si contestavano le politiche e le ideologie neoliberiste adottate dalle organizzazioni sovranazionali come l'Organizzazione Mondiale del Commercio e il Fondo Monetario Internazionale.
Il 19 luglio si svolse una pacifica manifestazione di rivendicazione dei diritti degli extracomunitari e dei migranti, a cui parteciparono moltissimi gruppi stranieri, cittadini genovesi, rappresentanti della Rete Lilliput ed anche, in coda al corteo, un gruppo di anarchici. Venne stimata la presenza di 50 000 persone. Le giornate del 20 e del 21 luglio dovevano essere i momenti più importanti per i manifestanti, infatti erano previste manifestazioni di molte associazioni in diversi luoghi della città, però già dall’inizio della giornata gruppi anarchici e altri gruppi di estrema sinistra e destra vennero ripresi a procurarsi pietre e benzina. Gli scontri iniziarono nel primo pomeriggio da parte di manifestanti violenti, che per sfuggire dalle cariche delle forze dell’ordine si mescolarono con la folla di manifestanti pacifici. Le forze dell’ordine si dovevano dirigere verso piazza Giusti, dove dei manifestanti violenti stavano da alcune ore compiendo atti vandalici contro un distributore di benzina, un supermercato e una banca. I carabinieri che stavano sopraggiungendo sarebbero dovuti giungere da via Tolemaide per poi passare per il sottopasso ferroviario di via Archimede, senza venire quindi in contatto con il corteo pacifico, proveniente da corso Aldo Gastaldi e diretto in via Tolemaide, e avrebbero quindi dovuto bloccare i gruppi estremisti che da piazza Giusti stavano intanto avanzando verso il quartiere di Marassi. Ma, non conoscendo la città e avendo sbagliato strada, arrivarono invece dalla parallela via Giovanni Tomaso Invrea, per poi posizionarsi davanti al sottopasso ferroviario che divide corso Torino da corso Sardegna . Qui, dopo alcuni attimi di sosta, ufficialmente per liberare la strada e per contrastare il fitto lancio di oggetti di cui erano bersaglio, caricarono per alcune centinaia di metri (fino all'incrocio con via Caffa) la testa del corteo autorizzato (tra i primi il gruppo delle "Tute Bianche") che stava sopraggiungendo. Molti manifestanti ed alcuni giornalisti si allontanarono, dopo i primi lanci di lacrimogeni, per cercare riparo nelle strade laterali, ma nonostante ciò alcuni di essi non riuscirono ad evitare di essere coinvolti negli scontri e di subire il pestaggio da parte delle forze dell'ordine. Il capitano dei Carabinieri che aveva ordinato le cariche sostenne al processo che si trattava di cariche "di alleggerimento", ammettendo però di non conoscere la topografia della zona e di non essersi reso conto che così facendo aveva chiuso le vie di fuga.
Dopo questa prima carica i carabinieri iniziarono a ripiegare, per permettere il passaggio del corteo, ma nel frattempo alcuni manifestanti pacifici, a cui si erano aggiunti dei manifestanti violenti, provenienti dal sottopasso di corso Sardegna, avevano assaltato e poi dato fuoco ad un mezzo blindato in panne. A questo punto la centrale operativa perse i contatti radio con gli uomini presenti che, avendo già impiegato tutti i lacrimogeni a disposizione (infatti diversi agenti, seppur protetti dalle maschere, e molti manifestanti accusarono negli anni successivi problemi respiratori cronici a causa dell'enorme quantità di lacrimogeni impiegata), ripresero le cariche.
Durante i violentissimi scontri i manifestanti reagirono alle cariche ed ai lanci di lacrimogeni incendiando i cassonetti dell'immondizia e le automobili, utilizzandoli come barricata, e compiendo altri atti vandalici. Attorno alle 16:00 carabinieri e polizia iniziarono le cariche ed i pestaggi nei confronti dei manifestanti in piazza e nelle vie limitrofe e, grazie anche all'aiuto di numerosi mezzi, riuscirono a prendere il controllo dell'area. Un filmato ripreso dalla telecamera posta nel casco di un carabiniere, e presentato agli atti nel procedimento aperto dalla magistratura genovese in relazione alla morte di Giuliani, mostra un gruppo di carabinieri picchiare un manifestante rimasto isolato e poi trascinarlo a terra come un sacco insanguinato da via Crimea a via Ilice e per circa ottanta metri sino in piazza Alimonda. In quei frangenti giungeva in piazza, da via Invrea, il Defender con a bordo l'allora tenente-colonnello dei carabinieri
Giovanni Truglio, comandante dello stesso reparto cui apparteneva Placanica. Il manifestante ferito fu prelevato da un'ambulanza verso le 17:00. Arrivati allo scontro, la polizia non riuscendo a sostenere le cariche dei manifestanti, tenta la ritirata, in quel momento un defender dei carabinieri rimane bloccato dalla folla. Uno degli aggressori raccoglie un estintore e lo scaglia contro il mezzo. L'estintore colpisce l'intelaiatura del finestrino della porta posteriore del mezzo e rimane appoggiato tra la carrozzeria e la ruota di scorta: dall'interno uno degli occupanti lo colpisce con un calcio, facendolo rotolare a terra, in direzione di un manifestante con il volto coperto da un passamontagna, più tardi identificato nella persona di Carlo Giuliani, che in quel momento si trova a diversi metri dal Defender, in direzione di via Tolemaide.Questi solleva da terra l'estintore e fa per dirigersi, con l'estintore sollevato, verso la parte posteriore del Defender ma viene immediatamente colpito da un colpo d'arma da fuoco.
Il carabiniere
Mario Placanica si dichiarerà in seguito responsabile dello sparo. Placanica ha dichiarato di aver sparato due colpi in aria, uno dei quali ha colpito Giuliani. L'altro proiettile colpì il muro a destra della chiesa in piazza Alimonda, lasciandovi un segno individuato solo dopo alcuni mesi.
Giuliani cadde a terra in fin di vita (secondo l'autopsia ed in base ai filmati che ne mostrano il
sangue zampillante morirà diversi minuti dopo) e venne investito due volte dal mezzo che era riuscito a ripartire e si allontanava dalla piazza mettendo in salvo i carabinieri: la prima volta in retromarcia, la seconda a marcia avanti. Quando, dopo circa mezz'ora, il personale medico di un'ambulanza arrivò in soccorso, Giuliani era già morto, senza aver ricevuto alcun soccorso dalle Forze dell'Ordine che immediatamente dopo la sua caduta a terra rioccuparono la piazza e lo circondarono. L'evento, documentato da diversi filmati e da numerose fotografie, venne trasmesso da molte stazioni televisive in tutto il mondo, rendendo evidente il drammatico livello di violenza raggiunto dagli scontri di Genova. Le prime notizie di stampa, non smentite da fonti ufficiali, riferirono della morte di un ragazzo spagnolo, colpito da un sasso.
Probabilmente era possibile risalire subito all'identità del ragazzo (sul cui corpo esanime qualcuno, dopo la fuga dei manifestanti, procurò una larga ferita verosimilmente colpendolo con forza con una pietra), poiché le forze dell'ordine rinvennero il
telefono cellulare che aveva in tasca.
Verso le 21.00, preoccupata dalle notizie della morte di un giovane manifestante, la sorella di Carlo Giuliani chiamò il fratello sul cellulare, in possesso degli inquirenti. Una persona la cui identità resta ignota, rispose alla chiamata, e dopo averle chiesto chi fosse, dichiarò di essere un amico del Giuliani e la rassicurò sulle condizioni di salute del fratello. Solo più tardi le autorità avvertirono la famiglia della morte di Carlo Giuliani.
La tensione in Piazza Alimonda era altissima. Il fotoreporter Eligio Paoni, che fotografava il corpo di Giuliani prima dell'arrivo delle forze dell'ordine, fu malmenato (ferite alla testa e frattura di una mano), gli fu distrutta una macchina fotografica e fu costretto a consegnare una pellicola che aveva cercato di nascondere. Anche il prete della chiesa di Nostra Signora del Rimedio che tentò di benedire il corpo di Giuliani non venne fatto avvicinare.
Circa mezz'ora dopo la morte di Giuliani, alcuni giornalisti di
Libero filmarono l'allora vicequestore Adriano Lauro mentre inseguiva per pochi metri un manifestante, urlandogli - davanti alle telecamere di Mediaset prontamente giunte sul posto con Renato Farina - di avere ucciso Giuliani con un sasso.
Le fotografie scattate da un abitante della zona e diffuse nel
2004 mostrano un acceso diverbio tra un carabiniere e un poliziotto. Ne parla anche Bruno Abile, un fotografo freelance francese presente in piazza Alimonda, in un'intervista all'ANSA del 21 luglio 2001.Qualcuno - mentre la zone attorno al corpo del giovane ucciso era interamente circondata ed occupata dalle Forze dell'ordine, come comprovato da una sequenza di fotografie - avrebbe messo un sasso a fianco della testa di Giuliani e procurato una profonda ferita sulla fronte in modo da far pensare ad una sassata.. A sostegno di questa tesi alcune fotografie mostrano il sasso prima ad alcuni metri a sinistra dal corpo e poi accanto alla testa sul lato destro, dove prima c'era solo un accendino bianco.
Il ruolo delle forze dell'ordine nella morte di Giuliani diventa evidente verso le 21 con la diffusione delle immagini scattate da un fotografo della
Reuters. I parenti di Carlo Giuliani furono avvisati verso le 22 e le emittenti televisive comunicarono il nome della vittima.
Il giorno seguente continuarono i tumulti con centinaia di feriti e decine di arresti. Questo è quello che accadde durante i giorni di manifestazione ma c’è dell’altro infatti in una scuola precisamente la Diaz era stata concessa dal comune di Genova al Genoa Social Forum, in un primo tempo come sede del loro media center, poi anche come dormitori. Stando alle testimonianze dei manifestanti la zona era divenuta un punto di ritrovo di molti manifestanti, soprattutto tra chi non conosceva la città, venendo frequentata durante le tre giornate anche da coloro che non erano tra gli autorizzati a dormire nell'edificio. Sempre secondo quanto riferito dai manifestanti e dal personale delle associazioni che avevano sede nella Pascoli non vi erano particolari situazioni di tensione nei due edifici.
Intorno alle 21 della sera del sabato (circa due ore prima della perquisizione e mezz'ora prima della supposta agressione alle forze dell'ordine) alcuni cittadini segnalarono la presenza in zona (via Tento, piazza Merani e via Cesare Battisti di alcuni manifestanti intenti a posizionare dei cassonetti dell'immondizia in mezzo alla strada e intenti a liberarsi di caschi e alcuni bastoni. Una volante della polizia mandata a verificare rilevò la presenza di un centinaio di persone davanti alla scuola Diaz, senza però essere in grado di verificare se fossero i soggetti segnalati dalle telefonate o se stessero realmente spostando i cassonetti in mezzo alla strada.
Successivamente la segnalazione di un attacco ad una pattuglia di poliziotti porta alla decisione, da parte delle forze dell'ordine, di una perquisizione presso la scuola Diaz (e, ufficialmente per errore, alla vicina scuola Pascoli) dove stanno dormendo 93 persone tra ragazzi e giornalisti in gran parte stranieri (la maggior parte dei quali accreditati). Il verbale della polizia parla di una "perquisizione": poiché si sospettava la presenza di manifestanti violenti. Ma nonostante tutto, resta tuttora senza motivazione ufficiale l'uso della tenuta antisommossa per effettuare una presunta perquisizione.
Tutti gli occupanti furono arrestati e la maggior parte picchiata, sebbene non avessero opposto alcuna resistenza. I giornalisti accorsi alla scuola Diaz videro decine di persone portate fuori in
barella. La portavoce della Questura dichiara, in una conferenza stampa, che 63 di essi avevano pregresse ferite e contusioni e mostra il materiale sequestrato, ma senza dare risposte agli interrogativi della stampa.Uno degli arrestati resterà in coma per due giorni. Le immagini delle riprese mostrano muri e pavimenti sporchi di sangue. A nessuno degli arrestati viene comunicato di essere in arresto, né i reati dei quali sarebbe accusato. Molti di loro scopriranno solo in ospedale (a volte attraverso i giornali) di essere stati arrestati per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio (gli arrestati però non si conoscevano tra di loro), resistenza aggravata e porto d'armi. Dei 63 feriti, tre avranno prognosi riservata: la studentessa tedesca ventottenne di archeologia Melanie Jonasch (che presentava trauma cranico cerebrale con frattura della rocca petrosa sinistra, ematomi cranici vari, contusioni multiple al dorso, spalla e arto superiore destro, frattura della mastoide sinistra, ematomi alla schiena e alle natiche), il tedesco Karl Wolfgang Baro (che presentava trauma cranico con emorragia venosa) e il giornalista inglese Mark Covell (che presentava perforazione del polmone, trauma emitorace, spalla e omero e trauma cranico, oltre alla perdita di 10 denti, e il cui pestaggio, avvenuto a metà strada tra le due scuole, venne ripreso in un video)
La versione ufficiale della
polizia di stato sostiene che l'assalto sarebbe stato motivato da una sassaiola proveniente dalla scuola verso una pattuglia delle forze dell'ordine che transitava in strada alle 21:30 circa (ma inizialmente in alcune relazioni l'orario indicato era stato 22:30). Il vicequestore Massimiliano Di Bernardini, in servizio alla Mobile di Roma e in quei giorni aggregato a Genova, in un primo tempo, riferirà di aver transitato "a passo d'uomo" (a causa di alcune vetture presenti nella strada molto stretta) davanti alla scuola con quattro vetture. Affermò inoltre che il cortile della scuola e i marciapiedi della strada "erano occupati da un nutrito gruppo, circa 200 persone, molti dei quali indossanti capi di abbigliamento di color nero, simile a quello tipicamente usato dai gruppi violenti" e che questi avevano fatto bersagli i mezzi con "un folto lancio di oggetti e pietre contro il contingente, cercando di assaltare le autovetture", ma che queste riuscirono poi ad allontanarsi "azionando anche i segnali di emergenza" nonostante la folla li inseguisse.. Le forze dell'ordine tuttavia non saranno in grado di fornire indicazioni precise sui mezzi coinvolti, né su chi li guidava e le testimonianze sulla presenza di centinaia di estremisti non verrà confermata da altre fonti; successivamente Di Bernardini ammetterà di non aver partecipato ai fatti, ma solo di aver riportato quanto riferitogli da altri. Tempo dopo tre agenti sosterranno che un grosso sasso aveva sfondato un vetro blindato del loro furgone (un singolo mezzo, rispetto ai quattro dichiarati in un primo tempo) e che il mezzo venne poi portato in un officina della polizia per le riparazioni. L'episodio però non risulta dai verbali dei superiori, stilati dopo l'irruzione, che invece riportano di una fitta sassaiola, né sarà possibile identificare il mezzo che sarebbe stato coinvolto. Testimonianze successive di altri agenti, rese durante le indagini, sosterranno al contrario, il lancio di un bullone (evento a cui i superiori non avrebbero assistito) e di una bottiglia di birra, lanciata in direzione di quattro auto della polizia, ad una delle quali si era aggrappato un manifestante. Alcuni giornalisti e operatori presenti all'esterno della Pascoli racconteranno invece di aver visto solo una volante della polizia in coda insieme ad altre auto dietro un autobus (che si era fermato in mezzo alla strada per far salire i manifestanti diretti alla stazione ferroviaria) che, arrivata all'altezza delle due scuole, accelerava di colpo "sgommando", al seguito della quale veniva lanciata una bottiglia (che si infrangeva a terra a diversi metri di distanza dall'auto ormai lontana); versione confermata in parte da altri testimoni all'interno dell'edificio (che affermeranno di aver sentito il rumore di forte accelerata seguito pochi istanti dopo da alcune urla e dal tonfo di un vetro infranto). Queste versioni contrastanti e date in tempi diversi, hanno posto fortemente in dubbio l'effettivo verificarsi del fatto addotto a motivo dell'irruzione.
Un ulteriore lancio di sassi verso le forze dell'ordine, una volta che queste si erano radunate fuori dall'edificio - sempre addotto a motivo dell'irruzione nella scuola al fine di assicurare alla giustizia i presunti manifestanti violenti - è stato escluso nel corso del processo dall'analisi dei filmati disponibili da parte del
RIS.
L'arresto in massa senza mandato di cattura venne giustificato in base alla contestazione dell'unico reato della legislazione italiana (a parte i casi di flagranza) che lo prevede, ovvero il reato di detenzione di armi in ambiente chiuso: dopo la perquisizione, le forze dell'ordine mostrano ai giornalisti gli oggetti rinvenuti, tra cui sbarre metalliche, che si riveleranno provenire dal cantiere per la ristrutturazione della scuola, e 2 bombe molotov, che si scoprirà per puro caso essere state sequestrate il giorno stesso in tutt'altro luogo e portate all'interno dell'edificio dalle stesse forze dell'ordine per creare false prove (un video dell'emittente locale
Primocanale, visionato ad un anno dei fatti, mostra infatti il sacchetto con le molotov in mano ai funzionari di polizia al di fuori della scuola e la scoperta di questo video porterà alla confessione di un agente, che ammetterà di aver ricevuto l'ordine di portarle davanti alla scuola).
Nella stessa operazione viene perquisita (per errore, stando alle testimonianze dei funzionari durante i processi) anche l'adiacente scuola Pascoli, che ospitava l'infermeria, il media center ed il servizio legale del Genoa Social Forum, che lamenterà la sparizione di alcuni dischi fissi dei computer e di supporti di memoria contenenti materiale sui cortei e sugli scontri, oltre alle testimonianze di molti manifestanti circa i fatti dei giorni precedenti (sia su supporto informatico che cartaceo). Alcuni dei computer che erano stati dati in comodato al Genoa Social Forum dal Comune e dalla Provincia e alcuni computer portatili dei giornalisti e dei legali presenti verranno distrutti durante la perquisizione. Poche ore prima dell'assalto, in un comunicato stampa diffuso dal Genoa Legal Forum, si annunciava che il giorno successivo sarebbe stata sporta denuncia contro le forze dell'ordine per quanto avvenuto in quei giorni, avvalendosi di questo materiale. La
Federazione nazionale della stampa si costituirà parte civile al processo contro questa irruzione.
Tutti gli arrestati della scuola Diaz e della scuola Pascoli sono stati in seguito rilasciati, alcuni la sera stessa, altri nei giorni successivi. Col tempo cadranno tutte le accuse ai manifestanti per quanto riguarda l'accoltellamento di un agente, fatto che verrà smentito dalle perizie del RIS secondo cui i tagli sarebbero stati procurati appositamente (l'agente peraltro cambierà versione sull'avvenimento diverse volte).
Le persone fermate e arrestate durante i giorni della manifestazione furono in gran parte condotte nella caserma di Genova
Bolzaneto, che era stata approntata come centro per l'identificazione dei fermati. Saranno poi trasferite in diverse carceri italiane. Secondo il Rapporto dell'ispettore Montanaro, frutto di un'indagine effettuata pochi giorni dopo il vertice, nei giorni della manifestazione transitarono per la caserma 240 persone (di cui 184 in stato di arresto, 5 in stato di fermo e 14 denunciate in stato di libertà), ma secondo altre testimonianze di agenti gli arresti e le semplici identificazioni furono molte di più, quasi 500 ].
In numerosi casi, i fermati accusano il personale delle forze dell'ordine di violenze fisiche e psicologiche, e di mancato rispetto dei diritti legali degli imputati (impossibilità di essere assistiti da un legale o di informare qualcuno del proprio stato di detenzione): gli arrestati raccontano di essere stati costretti a stare ore in piedi, con le mani alzate, senza avere la possibilità di andare in bagno, cambiare posizione o ricevere cure mediche. Inoltre riferiscono di un clima di euforia tra le forze dell'ordine per la possibilità di infierire sui manifestanti, e riportano anche invocazioni a dittatori e ad ideologie dittatoriali di matrice
fascista, nazista e razzista e minacce a sfondo sessuale nei confronti di alcune manifestanti.
I giudici scarcereranno, nei giorni successivi, tutti i manifestanti, per l'insussistenza delle accuse che ne avevano provocato l'arresto.

5 commenti:

Paola Romitelli ha detto...

Complimenti ragazzi, bel blog!
:)

Paola Romitelli ha detto...

Si mi fa piacere uno scambio di link, ma credo che l'altro mio blog si avvicini di più alle tematiche del tuo.
Puoi visitarlo da qui http://psicke.blogspot.com
Io intanto ti metto fra i blog amici ;)

Paola ha detto...

Ho trovato un commento a nome Cacio91 sul mio post antiPsiconano.... bravi ragazzi! vorrei che ci fossero tanti ragazzi come voi e che tutti insieme possiate costruire le basi per una nuova Italia....lo scempio che stanno facendo del nostro Paese è veramente intollerabile! Forza dunque, avanti così... é interessante il vostro blog e tornerò a trovarvi.Ciao

Paola ha detto...

Spero di farvi piacere offrendovi il premio Brillante Weblog: venite da me per ritirarlo. Ciao ciao

Didz ha detto...

Grazie mille Paola siamo davvero felici ed onorati che il nostro blog ti sia piaciuto. Abbiamo tante idee nella testa tanto su cui scrivere, spero che continuerai a seguire il nostro lavoro e magari anche a continuare ad apprezzarlo!
salutoni